Nel 2019 mi sono imbattuto in una comunità di praticanti Zen a Londra chiamata Zenways.
Zenways si può tradurre come i modi dello Zen.
Da allora ho studiato e praticato Zen sotto la guida di Julian Daizan Skinner, prendendo parte, sempre sotto la sua guida, a un programma di formazione per diventare insegnante di Zen.
All’inizio di maggio 2023, Daizan mi ha conferito il permesso di insegnare Zen, tramite la Trasmissione del Dharma (Dharma Transmission), diventando così un insegnante di Zen nel lignaggio del Rinzai Zen.

“Zen” significa “meditazione” in giapponese, e infatti la pratica della meditazione è il cuore di questo approccio.
Lo scopo ultimo della pratica Zen è scoprire chi siamo veramente – non come idea, non come concetto da discutere, ma come esperienza diretta, inconfutabile, indiscutibile, che non necessita della convalida di nessuno.
Attraverso questa disciplina, vogliamo trovare una fonte di felicità che non dipenda da elementi esterni: qualcosa che nessuno ci può dare né togliere.
Una felicità che non si fonda sui nostri successi o fallimenti, sui nostri possedimenti o riconoscimenti, ma che nasce da un luogo molto più profondo.
Crescendo, ci abituiamo quasi automaticamente a vivere in un mondo fatto di opposti: io/tu, buono/cattivo, successo/fallimento, giusto/sbagliato, soggetto/oggetto, vita/morte, e così via.
Questo mondo esiste, non c’è dubbio. Ma è solo una prospettiva parziale e soggettiva: non è affatto il quadro completo.
Ora, non si tratta di perdere la capacità di vivere nel mondo dualistico: quello in cui agiamo ogni giorno, con le sue distinzioni, scelte, conseguenze.
Sarebbe tragico.
Ciò che vogliamo, invece, è sviluppare anche la capacità di operare da un’altra prospettiva: quella non-dualistica, che si apre solo nel tempo presente, nel qui ed ora.
E da questo luogo non-dualistico, i problemi scompaiono. Non c’è successo né fallimento, giusto né sbagliato: c’è solo questo momento.
La pratica Zen ci aiuta proprio in questo: ad allenarci a operare da questo luogo, dove i problemi non esistono.
E questo non significa smettere di vivere nel mondo, ma imparare ad abitare entrambi i piani: quello quotidiano, duale, e quello essenziale, non-duale.
Si potrebbero scrivere libri e discutere per ore di tutto questo…
Ma lo Zen è pratica.
È volontà di praticare con costanza e sincerità, per arrivare a sentire con chiarezza come sia possibile agire nel mondo, con tutte le sue complessità, rimanendo ancorati a un luogo dentro di noi in cui non c’è nessun problema.
Come per qualsiasi altra disciplina, dedicare del tempo è essenziale.
Io vado in bici da quando avevo cinque anni — o almeno così credo (sono sicuro di avere cinquant’anni, ma non al 100% di aver cominciato a pedalare a cinque!).
So bene che c’è una grande differenza tra allenarsi tanto o poco, tra praticare regolarmente o solo ogni tanto.
Credo che valga lo stesso per suonare uno strumento, imparare un mestiere, apprendere una lingua…
Più tempo dedichiamo, più diventiamo abili.
E con la meditazione, con la pratica dello Zen, è esattamente la stessa cosa.
