Tu sei il fiume: riflessioni sull’Uji di Dōgen

Tempo. Questa sera voglio parlare del tempo.
Oggi l’estate finisce, o meglio, inizia l’autunno. Almeno così dice il calendario.

Ho un ricordo molto vivido di quando è iniziato quest’anno, il 2025, come se fosse accaduto appena ieri. La memoria, o meglio l’impressione mentale, di un’intenzione: fare del mio meglio con questo nuovo anno che allora stava solo cominciando.

Quello che volevo, in realtà, era vivere con chiarezza e impegno nella pratica — e naturalmente lasciare che questo infondesse anche il resto della mia vita. Sfruttare le situazioni, imparare, esplorare, impegnarmi, partecipare… grandi intenzioni e… non posso dire che non sia stato così finora. Sono molto felice di come sono andate le cose, perché più o meno sono rimasto fedele alla direzione che avevo tracciato per l’anno.

Adesso è settembre, mancano solo pochi mesi prima che inizi un nuovo anno di calendario.

Credo che quando ero più giovane il tempo mi sembrasse una lunga strada davanti. C’erano interi decenni ad aspettare, almeno così si sperava. Si poteva facilmente tirare un respiro e dire: “Lo farò domani; ho tempo.” Invece, dopo aver varcato la soglia dei cinquanta, ormai tre anni fa, quella voce è cambiata. È passata da “Lo farò domani; ho tempo” a: “sfrutta al massimo ciò che hai, prima che il tempo scivoli via.”

All’improvviso la stessa strada su cui cammino dalla nascita sembra più corta. Non perché la vita si sia ristretta — i giorni hanno sempre la stessa lunghezza, dopotutto — ma perché il senso di urgenza ha cambiato il modo in cui incontro ogni giorno.

Ricordo di aver letto tempo fa un bellissimo capitolo dello Shōbōgenzō, l’opera del maestro Dōgen.
Il capitolo si intitola Uji — Essere-Tempo. Mi era sembrato molto pertinente rispetto a questa percezione che ho avuto ultimamente del tempo che sembra sfuggire, così recentemente ci sono tornato sopra.

Nell’introduzione del capitolo si spiega il significato stesso di Uji. “U” significa esistenza, “Ji” significa tempo: Ujisignifica quindi “tempo-esistenza”, o “essere-tempo”.

In questo capitolo Dōgen ci invita a riconsiderare cosa sia davvero il tempo, e soprattutto cosa siamo noi realmente.

Abbiamo tempo o non abbiamo tempo? Quante volte mi sono sorpreso a dire: “Non ho tempo per questo.” Che può anche essere vero, nel modo molto convenzionale di navigare la vita, ma che a volte porta con sé un senso non essenziale di urgenza e ansia che non mi permette di esplorare, accettare e incarnare pienamente ciò che sono e ciò che sto facendo.

Quando pensiamo al tempo, tendiamo a immaginarci così: io sono qui, e il tempo è qualcosa al di fuori di me — come un fiume al cui margine sto in piedi, guardandolo scorrere.
Ma in Uji Dōgen dice: no. Tu non sei accanto al fiume; tu sei il fiume.
Questo momento di seduta non è un frammento di qualcosa che sta passando. È il tutto.
Dōgen vuole che vediamo chiaramente che non siamo separati dal tempo: noi siamo il tempo. Questo respiro non è uno fra i tanti; è il respiro dell’intero universo.

In termini pratici, quando mi siedo sul cuscino, può nascere la tentazione di pensare: “Questi 25 minuti varranno se raggiungo qualche altro posto — un po’ di chiarezza, di calma, forse l’illuminazione.” Così la seduta diventa un mezzo per un fine. Ma il punto radicale di Dōgen è: la seduta stessa è già il fine. Non c’è separazione tra mezzi e fini. Il tempo in cui siedo è già la cosa intera, l’intera esistenza. Non sono due cose separate. La seduta è l’essere-tempo. Il respiro è l’evento in cui appare l’intero universo. Non è un passaggio: è esso. Non c’è un Riccardo separato, o un “tu” separato, in questo percepito scorrere del tempo. Esistere e tempo sono la stessa cosa: Uji, tempo-esistenza.

Ed è così che questo insegnamento incontra la piccola paura dei cinquant’anni. La paura dice: c’è meno tempo davanti, bisogna affrettarsi. Ma Dōgen dice: che tu abbia molti anni o pochi, ogni momento è completo.
Settembre a cinquant’anni non è un mese “minore” di aprile a vent’anni. Ogni momento racchiude in sé l’intera vita che tutti manifestiamo in quell’istante, a prescindere da tutte le interazioni mentali che possiamo avere dentro di noi o con gli altri.

Dōgen ci invita a guardare la nostra abitudine di pensare al tempo come a qualcosa che “vola via”. Perché nel momento in cui lo percepiamo così, stiamo pensando al tempo come a qualcosa di separato da noi. Qualcosa che non abbiamo, che sfugge, qualcosa che devo usare bene, sfruttare, guadagnare, non perdere. Ma in realtà siamo essere-tempo, un’unica cosa. La nostra vita in questo momento non è altro che l’intero essere-tempo. In altre parole, Dōgen ci invita a lasciare cadere idee, giochi mentali e tutto il resto, e semplicemente presentarci — pieni, incondizionati.

Naturalmente non si tratta di trasformare questo in una comprensione intellettuale o in un concetto fisso. Piuttosto: in questo momento, dimentica l’età, la fretta, il tempo che vola o non vola. Solo questo momento: prendine parte così come vedi nascere il bisogno in esso.

In un certo senso, vedo questo insegnamento di Dōgen come un antidoto alla corsa costante, all’aggiungere sempre cose alla lista delle cose da fare. Se il tempo servisse solo a “scappare via” — se la sua unica funzione fosse quella di sfuggirci — allora saremmo sempre separati dalla vita, sempre dietro, sempre ad inseguire. Ma se siamo essere-tempo, allora la nostra vita non è qualcosa che possediamo già e cerchiamo di spendere con saggezza; la nostra vita è il dispiegarsi stesso di ogni momento.

Come praticare, dunque, l’Uji? Ecco come provo a farlo io. Modi semplici per riportare l’attenzione all’essere-tempo.

  1. Notare il nostro rapporto con la parola “dopo”.
    Quando ci sorprende il pensiero: “Sarò presente più tardi” o “Una volta finito X, allora sarò calmo”, forse possiamo fermarci un istante. Forse possiamo prendere un respiro e chiederci: questo momento — con le sue distrazioni, il suo rumore, la sua fretta — non è già ciò che sto cercando? Posso rallentare ed essere-tempo, incarnandolo?
  2. Usare il corpo come ancoraggio.
    Il corpo accade sempre adesso. Sentire la pianta dei piedi, il peso del corpo seduto, il ciclo del respiro. Questi non sono dettagli marginali da ignorare: sono la porta d’ingresso al fatto che noi siamo tempo. Praticare con il corpo è praticare con il tempo.
  3. Fare ogni cosa come se fosse l’universo stesso.
    Quando lavi una ciotola, quando lavi qualunque cosa — te stesso, il pavimento, l’auto — lava come se stessi lavando l’universo.
    Oppure: ascolta qualcuno come se le sue parole fossero le parole dell’universo. Cosa sta dicendo l’universo adesso? Queste micro-pratiche non sono minori della seduta formale: sono espressioni di Uji.

Così, ho cominciato questo discorso con una piccola ansia sul tempo — la sensazione che devo sfruttarlo al massimo. Non credo che l’insegnamento di Dōgen sull’Uji elimini questa cura; “ci porta oltre.” Invece di strizzarlo freneticamente, ci invita a una sorta di riverenza per ogni momento, rivelando che ogni momento è intero. Settembre a cinquant’anni, aprile a venti — ogni momento contiene l’intero essere-tempo. Affrontiamolo, accettiamolo e andiamo avanti.

E se la voce dell’urgenza sussurra all’orecchio — fai questo, fai quello, prima che sia troppo tardi — ascoltiamola con gentilezza, ma lasciamo che risuoni anche la voce di Dōgen: tu sei l’essere-tempo. Proprio adesso.
Questa non è una prova generale. Non è una preparazione a qualcosa che stiamo inseguendo o che faremo dopo. Questa è la vita, qui e ora. Non è da capire; è da vivere.