Talk per la Zenways Sangha – Ottobre 2023
In Zen diciamo:
“Studiare lo Zen è studiare il sé; studiare il sé è dimenticare il sé; dimenticare il sé è realizzare tutte le cose.”
Questa citazione del Maestro Dōgen racchiude l’essenza della nostra pratica. Questa sera vorrei condividere alcune riflessioni su ciò che significa davvero.
“Studiare lo Zen è studiare il sé” – cosa significa? Come si studia il sé?
Credo che la nostra pratica ci porti a esplorarlo in molti modi, ma forse il più diretto è attraverso la domanda: “Chi sono io?”. Quando ci fermiamo un momento e affrontiamo sinceramente questa domanda, iniziamo un processo che può portarci a intuizioni profonde e inevitabili.
Recentemente ho passato due settimane in Italia, dove sono nato e cresciuto. Mentre sistemavo alcune cose nella casa della mia infanzia, mi sono imbattuto in vecchie foto dei miei genitori e di me da bambino. Guardando quel bambino mi è venuto spontaneo chiedermi: dove è finito quel bambino?.
Certo, c’è un filo di ricordi e di eventi che crea una certa continuità tra il bimbo in quella foto e la persona che vi sta parlando ora. Ma è davvero tutta lì, la storia? Forse è proprio qui che comincia lo “studio del sé”.
Quando ci fermiamo con sincerità e ci apriamo davvero all’indagine interiore, accade qualcosa: lo sguardo cambia, si sposta. Iniziamo a vedere che ciò che chiamiamo “io” è costruito su elementi che mutano continuamente.
I ricordi, le idee, gli eventi… sembrano tenere insieme un senso di identità coerente. Sono nato, sono cresciuto in una famiglia che mi ha nutrito non solo con cibo ma anche con educazione, cultura, valori, preferenze. Molti dei miei gusti e reazioni di oggi risalgono a quel tempo. Ma sono davvero “me”? O sono solo abitudini, reazioni apprese, modelli consolidati?
Il Buddha parlava dei cinque skandha, o aggregati, che compongono ciò che chiamiamo “persona”.
Questi sono:
- Forma, il corpo fisico
- Sensazione, ciò che percepiamo come piacevole, spiacevole o neutro
- Percezione, il modo in cui riconosciamo e interpretiamo le esperienze sensoriali
- Formazioni mentali, pensieri, idee, schemi mentali
- Coscienza, la consapevolezza di tutto questo
Questi aggregati non hanno un centro fisso, non formano un’entità stabile. Eppure sembrano costruire un sé solido, una storia coerente. Ma se osserviamo attentamente, vediamo che ognuno di questi elementi è in continuo cambiamento. Sono processi in flusso, nulla di stabile a cui aggrapparsi. E quindi… chi sono io, davvero?
Vale la pena guardare una vecchia foto di sé stessi e restare lì, a esplorare. Non per cercare risposte facili, ma per restare aperti all’indagine, per studiare il sé in modo diretto.
Poi Dōgen dice:
“Studiare il sé è dimenticare il sé.”
Come si dimentica il sé? Sembra un paradosso: non ci portiamo forse dietro il nostro sé ovunque andiamo?
Eppure, dimenticare il sé può avvenire proprio quando siamo completamente immersi nell’azione, senza “se” e senza “ma”. Quando lasciamo andare tutte le idee su chi siamo e su cosa pensiamo di dover fare, semplicemente agiamo. Non è più “Riccardo che toglie le erbacce dal giardino” (che tra l’altro non mi piace molto fare), ma solo l’azione che accade, spontaneamente, senza resistenza.
Quando lasciamo andare il senso di essere l’autore di ogni gesto, cominciamo ad assaporare una dimensione nuova. Possiamo chiederci: Chi sta facendo questo, se non sono io? È un’ottima pratica: la prossima volta che fai qualcosa – cucinare, lavare i piatti, camminare – prova semplicemente a dimenticare il sé e ad agire senza idee preconcette, lasciando che l’azione si manifesti da sé.
Infine, “dimenticare il sé è realizzare tutte le cose.”
Cosa significa? Quando smettiamo di identificarci con un sé separato, si dissolvono quei confini che sembravano isolarci dagli altri e dal mondo.
Cominciamo ad agire in armonia con ciò che accade, pienamente presenti, senza resistenza. Ci allineiamo con la realtà del momento, e proprio lì, nel lasciar andare l’idea di essere separati, realizziamo tutte le cose. Non perché le comprendiamo concettualmente, ma perché ne diventiamo parte viva.
Naturalmente, rimane un senso di “me” che prende decisioni, che si assume responsabilità, che parla, lavora, vive. Questo non viene negato. Non possiamo sottrarci alla vita. E tuttavia, anche in questo, possiamo vivere senza aggrapparci all’idea di un sé fisso e separato.
Qualche settimana fa ho facilitato un piccolo evento in cui abbiamo esplorato questa apparente tensione tra individuo e totalità. L’abbiamo chiamata:
“Non uno, non due.”
Non restare bloccati nell’idea che “non devo fare nulla, sarà l’universo a occuparsene.”
E nemmeno nell’idea opposta: “tocca a me, separato da tutto il resto, combattere e risolvere ogni cosa.”
La pratica è non attaccarsi a nessuna delle due visioni. È semplicemente fluire con la realtà, con ciò che c’è, senza aggrapparsi a nulla.
Dov’è questo luogo? Come lo troviamo? E cosa ci offre questa armonia?
Ora faremo un po’ di meditazione camminata e seduta. Forse sarà l’occasione giusta per iniziare questa esplorazione.
Riposare nel non-sapere.
Lasciar cadere idee e pensieri.
Dimenticare il sé per realizzare tutte le cose.
Grazie per l’ascolto. Buona esplorazione!
