Il sesshin di quest’anno si è svolto in un modo che mi è sembrato al tempo stesso familiare e completamente nuovo. Mentre lasciavo casa, dentro di me erano già attive “due parti”: una desiderosa di tornare all’intensità della pratica, l’altra calda e comoda nella vita che conosco. Non avevo alcuna voglia delle tre ore di macchina davanti a me, e non portavo con me aspettative — solo l’intenzione di stare con qualsiasi cosa sarebbe sorta.
Il tema di questo sesshin era radicato negli insegnamenti di Zen Master Keizan, in particolare nelle sue istruzioni per lo Zazen — quell’invito profondo a “svestire corpo e mente”. Ho letto queste parole molte volte in passato, ma quest’anno sembravano risuonare in ogni periodo di meditazione, in ogni canto, in ogni camminata nell’aria gelida del Peak District. Un promemoria che la pratica non riguarda il perfezionare o migliorare qualcosa; riguarda lasciar cadere il peso, respiro dopo respiro.
Al Nightingale Centre mi sono immerso rapidamente nel ritmo del ritiro. Le corse Zen del mattino presto, le lunghe sedute, il canto, i pasti in silenzio, gli infiniti momenti di semplice osservazione dei movimenti della mente. Il tempo quest’anno è stato duro — freddo, pioggia, vento tagliente — e proprio questo ha reso tutto più vivo. Più reale. Una mattina ho corso sotto la pioggia e sono rimasto bagnato per ore, stranamente grato per quella crudezza.
Come sempre, ho fatto un po’ di ribellione. Ho saltato un paio di sessioni di Samu per andare a camminare nei boschi. La natura continuava a chiamarmi, e io ho ascoltato. Quelle lunghe passeggiate solitarie sono diventate una mia forma di Zazen, una mia versione dello “svestire” tutto ciò che è superfluo — pensieri, tensioni, storie su chi dovrei essere.
La meditazione si è approfondita costantemente. Alcune sedute erano pura semplicità: respiro, suono, sensazione, tutto che nasceva e svaniva con una naturale chiarezza. Altre erano agitate, ma anche quelle hanno iniziato a sembrare gestibili — niente da aggiustare, niente da respingere.
Uno dei momenti significativi per me è stato il talk sui Cinque Ranghi di Tōzan. È un insegnamento che ho sempre trovato sottile e intimo — questo gioco dinamico tra assoluto e relativo, il modo in cui l’illuminazione si manifesta e poi si integra nella vita quotidiana. Prepararlo mi ha portato più in profondità nella mia relazione con i Ranghi, e offrirlo al gruppo è stato sorprendentemente naturale. Anni fa, parlare davanti a un gruppo mi avrebbe terrorizzato. Ora sembra parte del cammino — parte di quel “ritorno al mercato” di cui parla Tōzan.
Anche lo Sanzen è stato un elemento potente del ritiro. Ascoltando le difficoltà e le aspirazioni degli altri, ogni volta diventa chiaro quanto poco ci sia davvero da “fare”. La vera offerta è la presenza. Essere lì come un altro essere umano che pratica questo cammino misterioso.
Durante una delle mie ultime camminate — con una luce brillante che tagliava la valle — ho riflettuto su una vecchia abitudine: quella di sentirmi osservato o valutato da un osservatore invisibile. Mi ha colpito quanto la pratica riguardi proprio il lasciare andare quello sguardo immaginario. Svestire corpo e mente include anche svestire quel sé performativo. Camminare senza esibirsi. Parlare senza provare. Vivere senza rimpicciolirsi.
I pensieri, in questo sesshin, sembravano più leggeri, quasi trasparenti. Alcune idee arrivavano con chiarezza — come creare una serie YouTube sul Sutra della Piattaforma. Altre semplicemente si alzavano e ricadevano come rapide variazioni del tempo.
L’ultima mattina ho sentito di nuovo le due parti di me: una che avrebbe voluto restare per sempre nel ritmo del sesshin, l’altra pronta a tornare a casa, a insegnare, a continuare questa pratica nel cuore della vita ordinaria. Entrambe vanno bene. Entrambe appartengono.
Quella mattina sono andato in cerca di un nuovo sentiero, e l’ho trovato. Mentre lo percorrevo e per un attimo mi chiedevo se mi fossi perso, qualcosa di semplice è emerso: sono qui. Sto respirando. Sono al sicuro. E questo bastava. Di nuovo le parole di Keizan: svesti corpo e mente. Lasciati andare in questo preciso momento. Cosa è perso? Cosa non lo è?
Solo essere qui.
Solo essere questo.
