Buonasera a tutti.
La settimana scorsa ho parlato di tenere e lasciare andare. Di come tenere qualcosa stretto o lasciarlo andare possa influenzare il nostro senso di sofferenza, disagio o inquietudine. Se continuiamo a trattenere qualcosa, inevitabilmente creiamo una sorta di tensione, una specie di rigidità. Lasciare andare significa aprirsi a ciò che è — a ciò che semplicemente è — invece di chiuderci in un senso di identificazione con qualcosa. Significa vedere le nostre fissazioni e lasciarle andare, e la tensione e il disagio scompaiono all’istante.
Allora, qual è la nostra pratica? E come possiamo, per così dire, proteggerla? Come possiamo prendercene cura? Credo che se vogliamo proteggerla, se vogliamo prendercene cura, dobbiamo custodire la nostra mente. La pratica è in qualche modo minacciata se non custodiamo la nostra mente instabile, che la settimana scorsa ho paragonato al comportamento irrequieto delle scimmie: saltellante, temperamentale, spesso distratta da qualcos’altro invece di essere presente con le cose così come sono qui e ora. Tuttavia, se riusciamo a tenere la mente sotto controllo, per così dire, con una qualità di consapevolezza, allora ci diamo il benessere di una mente che non trattiene le cose, non si identifica con esse, che permette alle cose di sorgere e passare. Rimane in qualche modo chiara: sgombra, se vogliamo.
Tutto nasce dalla mente: tutta la sofferenza, tutte le paure, tutte le ansie, tutte le nostre identificazioni, e così via. Questi sono elementi che nascono dalla mente. Perciò credo che comprendere la mente sia uno degli obiettivi fondamentali della nostra pratica. Però, cosa ci sfida? La settimana scorsa ho parlato di diventare consapevoli delle abitudini o dei modelli della mente. Quando ci avviciniamo allo Zen, o meglio allo zazen, la nostra pratica formale seduta, veniamo invitati a portare l’attenzione al respiro, a notare la mente vagante, a lasciare andare ciò che sta accadendo lì e semplicemente tornare al respiro. Questa è una parte molto fondamentale della nostra pratica, sia che siamo nuovi o meno. Però, forse avete notato anche voi quanto possa essere difficile. Sembra che davvero facciamo fatica a lasciare andare i pensieri, le idee, i concetti, i piaceri e i dispiaceri. Possiamo avere le intenzioni più forti, ma immagino che possiamo ancora trovare tutto ciò difficile, fino al punto di sentirci un po’ frustrati e irritati. Perché è così difficile?
Forse arriviamo persino a pensare che ci sia qualcosa che non va in noi. Beh, in realtà è quello che ho pensato io stesso molte volte, almeno. Nella mia esperienza, nella mia esplorazione, c’è una cosa che è diventata davvero evidente: che non posso praticare senza in qualche modo affilare la mia attenzione, la mia consapevolezza, la mia mindfulness. Ho davvero bisogno di custodire la mia mente. La mente è complessa, il suo funzionamento interno è straordinario e può creare ogni tipo di scenario che può portarmi lontano da ciò che è semplicemente qui. E se non ne sono consapevole, se non sono mindfulness rispetto a questo, è proprio quello che succede. Non possiamo davvero praticare senza quella qualità di consapevolezza.
Quindi, ancora, illusione, avidità, gelosia nascono dalla mente, e anche la mindfulness, la consapevolezza, la concentrazione, la gioia nascono dalla mente. Quindi, credo che diventare, chiamiamolo così, custodi della nostra stessa mente, significhi davvero custodirla, portare una qualità di attenzione, calma, stabilità che ci aiuti a vedere più chiaramente cosa sta succedendo senza reagire impulsivamente. Ricordo che la settimana scorsa ho parlato di aver creato modelli mentali durante tutta la mia vita, e penso che questo valga per tutti noi. È solo una supposizione, ma sento che potrebbe essere così. La nostra mente sembra lavorare, sembra creare modelli senza che ne siamo consapevoli, e una cosa porta all’altra, un evento scatena la solita risposta o reazione, una persona provoca emozioni indesiderate, e così via. Ma ora abbiamo la nostra pratica, ora portiamo consapevolezza, portiamo intenzione di vedere, e cominciamo a vedere cosa è successo tutto questo tempo. Possiamo iniziare a rallentare le cose e vedere un po’ più chiaramente questi modelli. Tutti questi modelli che abbiamo, e che, come dicevo prima, credo si siano sviluppati durante tutta la nostra vita.
Più tardi faremo insieme un po’ di meditazione. Possiamo pensare a questo come a un momento in cui raccogliamo la mente, la concentriamo, la calmiamo. Questo è zazen, secondo la mia esperienza con questa pratica. In un certo senso entriamo nel terreno della nostra stessa mente. Studiamo la mente, osserviamo ciò che arriva e ciò che va via. Studiamo ciò a cui ci aggrappiamo e forse arriviamo a capire, avendo un’idea più chiara, perché ci aggrappiamo a certe cose. Quando dico studiare, intendo osservare con totale apertura ciò che accade. Non dobbiamo risolvere nulla, in realtà possiamo solo vedere chiaramente senza dover dare spiegazioni.
L’obiettivo fondamentale della pratica Zen è scoprire cosa siamo realmente, e da quella conoscenza attualizzare la nostra scoperta. Questo implica ovviamente lasciare andare le nostre illusioni, lasciare andare l’identificazione con le forme, con i sentimenti, con i pensieri, le percezioni e così via. Se continuiamo a identificarci con i nostri modelli mentali, credo e sono convinto che non stiamo praticando davvero la mindfulness, ma siamo semplicemente intrappolati dalle immagini che appaiono in quello che potremmo chiamare il nostro mondo interiore. E non è questo.
Quando dico che dobbiamo custodire la mente, intendo che vogliamo esplorare la possibilità di lasciare andare quell’esperienza mentale, notarli, portare una qualità di consapevolezza, e iniziare semplicemente a lasciare andare ciò che sorge. Credo che il rischio che corriamo se non lasciamo andare ciò che sorge in noi, ed è quello che succede a me, è che tutto comincia a proliferare e a moltiplicarsi in ogni genere di altri pensieri, emozioni, sentimenti, piaceri, dispiaceri, che possono avere un effetto molto malsano su di noi. Cosa siamo veramente? Siamo quei pensieri? Siamo quei modelli mentali? Siamo quei desideri a cui cerchiamo di aggrapparci?
Per me praticare significa interrompere l’identificazione con questi modelli. A volte può sembrare che siamo impotenti, che l’identificazione sia troppo forte. Dopotutto, come dicevo prima, si è sviluppata per molti, molti, molti anni. E ora sembra difficile interromperla. Però questa è davvero la nostra pratica, la nostra intenzione di rimanere consapevoli, la nostra intenzione di essere presenti rispetto ai nostri “aggrapparsi”, che è il modo potente per interrompere il ciclo dell’autoillusione. Quindi la nostra pratica, sia sul cuscino che fuori, porta la nostra più forte intenzione a sciogliere il nodo dell’identificazione. Non possiamo fare affidamento su molto altro, se non sulla nostra intenzione stessa di essere, di essere vigili, di custodire la nostra mente.
E siamo molto fortunati, lo sento anch’io, di far parte di questa comunità, dove ogni volta che ci incontriamo tutto viene fatto con lo scopo di rimanere consapevoli e vigili. All’inizio abbiamo fatto il canto, che in realtà è stata un’opportunità per portare quella qualità di consapevolezza, di attenzione, al canto stesso. La meditazione camminata più tardi, la meditazione seduta, mantenere il corpo eretto ad esempio, è un’altra occasione per portare quella qualità di consapevolezza a ciò che succede proprio qui e ora. Ci sederemo in meditazione, raccogliendo la mente a ciò che sta succedendo. E poi, si spera, porteremo questa qualità di attenzione nelle nostre attività quotidiane, cercando di fare del nostro meglio per rimanere vigili, consapevoli, senza identificarci continuamente con il nostro mondo interiore, per così dire.
Quindi, a breve faremo insieme un po’ di meditazione camminata e seduta, e potremmo portare l’intenzione di semplicemente vivere, non negare nulla, non evitare nulla. Naturalmente senza reprimere nulla, senza etichettare. Solo custodire la mente senza coinvolgersi.
Vi ringrazio molto per l’ascolto, e buona pratica a tutti.
