Oggi ho lasciato il Garmin a casa. Pedalata reale, niente dito.

Nessun beep alla partenza. Nessuna traccia da seguire, nessun watt da inseguire, nessun cuore da monitorare. Solo io, la bici, e la strada. I primi minuti? Strani. Mi sembrava di pedalare senza patente, senza testimoni, senza scopo (in effetti).

Poi ho iniziato a respirare meglio. A guardare gli alberi invece che il computerino. A sentire il corpo, non i numeri.
E mentre le ruote scorrevano leggere su strade conosciute, mi è venuto in mente il Caso 3 del Mumonkan – Il dito di Gutei.

Un giovane monaco chiede al maestro Gutei cos’è la Via. In risposta, Gutei alza un dito. Solo quello.
Il gesto diventa per l’allievo un fulmine nel cervello: capisce qualcosa. A modo suo.

Allora inizia a imitare il maestro. Ogni volta che qualcuno gli chiede qualcosa sullo Zen e sugl’insegnamenti di Gutei… tac! Alza il dito.
Quando Gutei lo scopre, prende un coltello e—zac!—gli taglia il dito.
Mentre il poveretto urla di dolore, Gutei lo chiama.
Il monaco si volta d’istinto. E in quell’attimo, senza dito, capisce davvero.

La morale? Trova la tua voce, esprimi la tua verità, non copiare quella di un altro.
Il gesto non è la verità. La mappa non è il territorio. La foto di una pizza non ti può sfamare. 
E il Garmin non è la pedalata.

Oggi, senza dati, ho trovato un ritmo più sincero. Nessuna fretta, nessuna prova, nessuna rincorsa a qualcosa. Solo curve, salitine, vento e silenzio. La strada non voleva nulla da me. E io non volevo nulla da lei.

Sono tornato sudato, contento. Nessun KOM, nessuna media da confrontare, solo una verità semplice:

Non serve sapere dove sei per essere lì davvero.
E il dito? Il mio, ben attaccato alla mano. Il Garmin, domani lo porto!