Avere una pratica – qualsiasi tipo di pratica introspettiva che includa, immagino, meditazione e consapevolezza – significa offrirci un’opportunità per riflettere sulle cose, una possibilità per osservare la natura delle cose e, allo stesso tempo, per riflettere sulla natura dei nostri comportamenti, sia consapevoli che inconsapevoli. È un’opportunità deliberata e volontaria che offriamo a noi stessi. Solo questo, per me, è già un ottimo motivo per avere una pratica a cui tornare, qualunque sia la situazione che mi trovo a vivere.
È ovvio che quando ci offriamo la possibilità di riflettere sulle cose, iniziamo a vedere sempre più chiaramente cosa ci fa sentire in un certo modo e cosa ci fa sentire in un altro. Con questa comprensione e questa “conoscenza”, credo che siamo più inclini a partecipare con tutto il cuore a ogni singolo momento della nostra esperienza di vita; forse per curiosità, forse per il semplice desiderio di essere più in “contatto” con le nostre emozioni e sensazioni, specialmente quando queste ci mettono a disagio.
Credo capiti spesso che, mentre facciamo qualcosa – che può essere qualsiasi cosa: faccende di casa, guidare per andare al lavoro, camminare nella natura, ascoltare qualcuno, leggere un libro – ci perdiamo in quello che sta succedendo nella nostra cosiddetta sfera mentale. Ovviamente, questo “perderci” nel mentale non ci permette di partecipare pienamente a ciò che stiamo facendo: non siamo allineati al 100% con l’unica esperienza che possiamo davvero vivere, cioè quella del momento presente, della situazione attuale, comunque la vogliamo chiamare. Possiamo chiamarla lettura, pensiero, riposo, pittura… Ma quanto siamo separati dalla situazione che stiamo vivendo? Qual è la distanza tra me e ciò che sto sperimentando? E, se c’è una distanza, cosa la crea?
Potremmo tornare, ancora una volta, alla domanda: chi siamo veramente? Non ho una risposta a questa domanda, ma nel frattempo posso semplicemente leggere, posso semplicemente pensare, posso semplicemente riposare, dipingere, scrivere, parlare… con tutto me stesso, in modo totale, allineato. Solo essere ciò che la situazione richiede, niente di più.
Nel momento in cui agisco, posso scegliere se impegnarmi nei processi mentali che attraversano la mia mente oppure posso scegliere di essere totalmente presente all’azione che sto svolgendo. La differenza è enorme.
Se sto facendo qualcosa e sono intrappolato nei miei pensieri, posso facilmente dire che sono prigioniero della mia stessa storia. Mi sto lasciando convincere dalle storie che emergono nella mente. Queste storie sono spesso molto convincenti e molto seducenti: giudizi, idee, ricordi, supposizioni… tutte queste formazioni mentali si frappongono tra noi e ciò che sta realmente accadendo nel momento presente.
Quindi, sorgere con la situazione che si presenta, partecipare pienamente a ciò che accade, significa restare focalizzati unicamente su quello che stiamo facendo. Non stiamo cercando di forzare nulla; ci assicuriamo semplicemente che la nostra attenzione sia nella situazione, non nella mente.
Per abitudine, tendiamo facilmente a seguire le formazioni della nostra mente. Crediamo fortemente che dobbiamo restare lì, nella mente: è come se fosse la nostra àncora. Abbiamo qualcosa in cui credere: le nostre opinioni, le nostre idee, le nostre preoccupazioni, il nostro senso di identità, e così via. Tutto questo può facilmente portarci via da ciò che sta davvero accadendo. Non da un’idea, non da una supposizione o da un’opinione, ma dall’esperienza diretta di questo momento. Credo che con la pratica impariamo a lasciar andare sempre di più tutte queste formazioni mentali, e diventiamo più abituati a stare semplicemente nella situazione presente.
Nel mio percorso di studio dello Zen, mi sono imbattuto nella frase giapponese Nari Kiru, che può essere tradotta come “diventare tagliati via”. Tagliati via da tutti quei pensieri futili che ci “rapiscono” – o meglio, rapiscono la nostra attenzione – rispetto a ciò che stiamo realmente facendo. Tagliarsi fuori dal pensiero dualistico e semplicemente agire, fare, essere ciò che si sta facendo. Nari Kiru è una manifestazione totalmente esperienziale di ciò che stiamo facendo, momento per momento, senza nulla in mezzo.
Come sarebbe semplicemente camminare quando si cammina? Come sarebbe semplicemente ascoltare quando si ascolta? Come sarebbe rilassarsi nell’atto di leggere, scrivere, parlare? Non cercare di forzare o spremere qualcosa di speciale da quello che facciamo, ma semplicemente vivere qualunque azione ci troviamo a svolgere da dentro l’azione stessa, senza alcuna separazione.
Divertiti a sperimentare Nari Kiru! Divertiti a esprimere semplicemente il camminare, il correre, il chiacchierare, il tagliare le verdure, il dipingere, il pensare, lo spazzare il pavimento, il guidare la tua auto, lo scrivere un’email…
