La mente che tutti abbiamo

Da bambini, la mente pura è tutto ciò a cui ci affidiamo.
È quella che ci fa cercare il seno della madre, che ci fa strillare quando ci fa male la pancia,
che ci fa sorridere quando qualcuno ci sorride.

È una mente naturale, diretta, che risponde istante per istante alla vita.

Poi cresciamo.
E pian piano, quasi senza accorgercene, iniziano a formarsi delle dinamiche,
si accumulano esperienze, parole, giudizi, paure.
Nascono i condizionamenti.
E così, la mente pura inizia a offuscarsi.

Diventa qualcosa di lontano, dimenticato, sepolto sotto tutto ciò che sorge e si agita.
Fino a che, da un certo punto in poi,
non sappiamo nemmeno più che esista.

Non ricordiamo più che una mente libera, saggia, chiara
sta ancora lì, al di là della nebbia.

Cominciamo a scontrarci con il mondo.
A sentirci separati.
A difendere qualcosa, a doverci affermare,
a mostrare quanto siamo migliori, più intelligenti, più forti, più istruiti.
Inizia a manifestarsi qualcosa di profondamente corrotto,
profondamente innaturale.

Ma in realtà, c’è una sola mente — quella che tutti condividiamo.
Potremmo non vederla, non percepirla chiaramente, ma non esiste una mente diversa per ogni persona.

Esistono condizionamenti che abitano la mente in modi diversi,
ma l’essenza, la vera natura della mente, non conosce separazione.
È la stessa mente che pervade ogni cosa: dal sasso alla pianta, dal gatto all’essere umano.

È una mente che non ha bisogno di stimoli.
Esiste, funziona perfettamente, che noi lo vogliamo o no.
È la mente che sa di dover guarire una ferita quando ci tagliamo.
È quella che fa crescere un albero,
che ha allungato il collo della giraffa nel corso dei millenni,
che guida il gatto verso il topo… e il topo a fuggire dal gatto.
È una.

Forse non la percepiamo con chiarezza — questa mente pura, a specchio,
che riflette ciò che è, senza distorsioni, senza giudizio.
Siamo più abituati a percepire le condizioni che la attraversano:
un flusso di pensieri, abitudini, ferite, paure, credenze.

È a queste condizioni che ci affidiamo quasi sempre,
come se fossero l’unica fonte disponibile.
Ci abbeveriamo lì, e finiamo per fraintendere la realtà.

Vediamo il mondo con occhi del tutto personali, filtrati dalle nostre storie interiori,
e così ci sentiamo separati, sconnessi.
È da questa disconnessione che nascono il conflitto, l’incomprensione, l’ignoranza.

Ma nel momento in cui vedo attraverso queste condizioni,
quando smetto di identificarmi con ciò che passa nella mente,
emerge una chiarezza silenziosa.
E allora sperimento direttamente la non separazione.

Questa mente — libera, viva, presente — sa.
Sa cos’è giusto e cosa è sbagliato, momento dopo momento.
Non ha bisogno di scuole di etica, di religioni o di filosofie.
È la saggezza stessa, che non appartiene a nessuno.

Il vero problema è che dimentichiamo questa mente.
Non perché sia lontana, ma perché è troppo vicina.
E così ci perdiamo nella nebbia dei nostri condizionamenti,
mentre la fonte limpida rimane lì, intatta, ad attenderci.

Questi anni passati a riflettere, meditare, investigare,
mi hanno lentamente riconnesso con quella mente.
Con un pizzico di curiosità e un po’ di determinazione,
ci si rende conto di cosa è successo,
e di ciò che possiamo fare per vivere con maggiore consapevolezza.

O forse “migliorare” non è nemmeno la parola giusta.
Forse si tratta semplicemente di comprendere meglio.
Avere più chiarezza su ciò che siamo veramente.

Perché continuando a nutrire la mente con condizioni, desideri, paure, ignoranza,
ci allontaniamo ogni giorno un po’ di più
dalla nostra più pura e semplice umanità.

Cosa possiamo fare, allora?

Niente, se ci va bene così.
Se non c’è curiosità, se non c’è slancio, allora va bene anche così.

Ma se c’è anche solo un piccolo desiderio di verità,
un po’ di buona volontà e voglia di sperimentare,
possiamo iniziare.

Iniziare a investigare.
A porci domande.
A sederci in silenzio, ogni tanto.
A guardarci dentro.
A scavare, piano piano, questo muro di condizionamenti.

Personalmente, questo sentiero mi ha fatto comprendere meglio il comportamento delle persone,
e il mio.
Mi ha fatto provare una grande compassione — per me stesso e per gli altri —
nel riconoscere cosa ci è successo.

E a un certo punto, senza sforzo, ho potuto smettere di puntare il dito.
Verso gli altri. E verso me stesso.

Perché in fin dei conti,
nessuno ha colpa.
È tutto solo un piccolo fraintendimento.

…è un po’ ironico, vero?
Perché quel “piccolo fraintendimento” —
che ci fa credere di essere separati, di doverci difendere, di dover avere ragione —
genera tutto: guerre, litigi, solitudini, paure, inganni.

Eppure, in fondo, resta davvero solo questo:
un fraintendimento.