Alle volte è come se aspettassi che qualcuno o qualcosa mi venga a togliere da questo momento di vita. Così come lo sto vivendo. Generalmente questo qualcosa viene nella forma di un qualche pensiero che mi distragga e che mi “proponga” qualche cosa da fare…… Molte volte continuo nel vago tentativo di afferrare la soluzione ai miei problemi senza accorgermi che non c’è fine a questa rincorsa. La tanto “promessa” soluzione non si trova, malgrado alle volte, per qualche istante, credo di averla trovata.
Poi ci sono quei momenti in cui succede qualcosa che non mi piace. Li avete mai provati voi questi momenti? In quegli istanti mi sale qualcosa dentro che ha come il sapore dell’irritazione o il colore della rabbia, quel retro gusto amaro di fastidio, un ostacolo, perfino un senso d’odio. La testa è in continuo movimento. Come le stagioni o la terra che fa l’ellisse attorno al sole, non si ferma mai. Mi accorgo del movimento solo quando pianto uno spillo nel bel mezzo dell’ellisse e nel piantarlo ho la netta sensazione che non ci sia nessuno in questo centro perché scopro, mio malgrado, che un centro non esiste. Quindi, senza che me ne accorga ricomincio ad orbitare, sempre attorno a questo momento presente che non ha centro, sempre inseguendo qualcosa e senza mai riuscire veramente a raggiungerlo; se non a volte, per pochi istanti.
Se non parlassi per analogie, non riuscirei mai ad esprimere niente. Come si può esprimere questo tempo presente se poi effettivamente in questo tempo presente non c’è veramente un oggetto, non c’è un soggetto, non c’è uno che deve capire e, effettivamente, non ci sarebbe neanche niente da capire?
Qui parte il paradosso che tutti involontariamente viviamo.
E’ vero, si può facilmente arrivare alla realizzazione che tutto è vuoto, non c’è centro, non c’è qualcosa di fisso dentro a nessuna delle cose o delle persone che vediamo, assolutamente niente di fisso. Sta di fatto che un qualcosa, un simil io, un’allineamento di fattori, arriva a chiare e incontrovertibili conclusioni a riguardo della realtà delle cose. Forse non c’è nulla di fisso anche se la legge fisica che dice che “nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma” è un fatto di una chiarezza strabiliante, fissa se vogliamo. Il problema nasce dalla nostra mente che non vive mai secondo questa formula ma piuttosto cerca di assecondare un senso di sopravvivenza della mente stessa e del suo “proprietario”. Questa mente ci vorrebbe sempre uguali, sempre giovani, sempre contenti, sempre liberi da situazioni sgradevoli. In altre parole, vorrebbe farci credere che possiamo creare e distruggere a nostro piacimento.
La nostra mente così come la percepiamo individualmente crea degli scenari in cui detta cosa sia meglio e cosa sia peggio per noi. Poi effettivamente e oggettivamente, è impossibile dire cosa sia veramente meglio o peggio. La cosa migliore per me, potrebbe essere non così buona per un’altra persona. Poi, dopotutto, quando alla mente non si da attenzione, ogni momento è perfetto così com’è, non ci si può aggiungere niente e non si può togliere niente, è al di sopra o aldilà di qualsiasi idea o preferenza che possiamo avere. Prima di pensare bene o male, qual’è lo stato naturale delle cose?
Mi fermo per un secondo e subito nella testa si formano mille pensieri. Distolgo l’attenzione dallo scrivere ed in mente viene di tutto. Fermati anche te per un momento soltanto dal fare ciò che stai facendo, fai attenzione in maniera del tutto distaccata e nota cosa succede. Quanto puoi rimanere con una mente sgombra da pensieri? Ma, ancora più importante, cosa ne fai di tutti questi pensieri o cosa ne fanno loro di te? Nel Buddismo tutto questo si chiama formazioni mentali. Questo fa un pò pensare ai cumuli nuvolosi che si formano in cielo ed in effetti, è un pò la stessa cosa. Ci sono momenti di cielo sereno e poi ci sono momenti in cui ci sono cumuli di pensieri che coprono completamente quello che è questo momento. Non è una cosa brutta, non è una cosa bella, è semplicemente quello che succede abitualmente. Il problema, se così lo vogliamo definire è che a quei pensieri ci si crede, diventano la nostra realtà. Diventano un qualcosa da seguire, capire, elaborare, sfuggire, rincorrere. Siamo ora in movimento sull’ellisse che ruota attorno a questo tempo presente, non nel centro, non presenti al tempo presente ma rincorrendo qualcosa in periferia, a perdifiato!
Ora, c’è una storia che mi ha sempre affascinato nello Zen, è la storia di Myo ed Eno e della loro corsa nel bosco. Questa è una storia di gelosia, di fisse idee, di formazioni mentali che portano a soffrire, di delusione e anche un pò di me.
Partiamo dall’inizio, o quasi.
Eno non è da molto arrivato al monastero della Montagna della Prugna gialla, Cina sud-orientale. Lì risiede il quinto patriarca della scuola buddhista Zen, Konin che lo accoglie e lo manda in cucina a battere il riso. Eno non si trova lì per caso. Mesi prima, qualcosa lo ha scosso profondamente. Scosso a tal punto da abbandonare quelle poche certezze che aveva per abbracciare l’ignoto, la sua vera natura, la nostra vera natura. Lui in cucina ci stava bene, semplicemente faceva quello che gli veniva chiesto, senza mai protestare, senza mai chiedere spiegazioni ma sempre e soltanto abbracciando ciò che ogni momento richiedeva da lui. Konin aveva capito benissimo che Eno aveva avuto una di quelle realizzazioni che ti cambiano totalmente il modo di vedere le cose, il modo di stare al mondo. Non più chiuso in un senso di singolo, distaccato individuo pronto a combattere tutte le insidie della vita ma piuttosto un senso di unità con tutto ciò che è. Eno ebbe prova di dimostrare questa realizzazione durante un concorso di poesia che si tenne nel monastero della Montagna della Prugna gialla. Konin aveva chiesto a tutti gli abitanti del monastero di esprimere la loro comprensione massima sullo stato delle cose in forma di poesia. Ognuno scrisse un breve poema e lo affisse sul muro che conduceva alla sala di meditazione così che ognuno potesse leggerli. Konin non ebbe nessun dubbio, Eno staccò il gruppo. La sua mente era svuotata dalle mille ed una delusione che riempivano le menti degl’altri e così Konin, pronto alla pensione trovò il suo erede, il sesto patriarca.
Eno riceve così da Konin il permesso di insegnare Zen, la trasmissione.
Tutto sarebbe stato assolutamente normale se non fosse per il fatto che Eno era appena arrivato al monastero, non aveva alle spalle anni ed anni di pratica come la maggior parte degl’altri. Molti ambivano a diventare il sesto patriarca; avevano studiato, praticato e sacrificato molto per questo. Eno era dopotutto un analfabeta, non aveva mai studiato in vita sua e per giunta il suo ruolo nel monastero era quello di battere il riso soltanto, nessuna responsabilità particolare, solo un soldato semplice. Quindi, questa trasmissione creerà parecchie gelosie e Konin decide di fare tutto in segreto, una notte in cui la luna è solo un taglio nel cielo nero.
In maniera quasi muta, Konin consegna una tunica ed una ciotola ad Eno. Sono questi i piccoli ed innocui oggetti che spettano ad un nuovo Zen Master. Quindi accompagna Eno fino al fiume e lo aiuta a salire su una barca. Lo prega quindi di scappare il più lontano possibile sapendo quello che potrebbe succedere la mattina seguente quando gli abitanti del monastero si sveglieranno. “Resta nascosto per un pò e comincia ad insegnare Zen quando le acque si saranno un poco calmate”, Konin dice. Eno non risponde mentre la barca si sta già per allontanare dalla riva.
Quando la mattina successiva il sole si leva sopra la spalle del monastero, tutti gli altri studenti di Konin capiscono immediatamente che c’è qualcosa che non va bene; un sospetto, un’intuizione. Dopotutto era gente abituata alla meditazione, gente aperta e sensibile che capisce da subito che quello che temevano è davvero successo. Chiedono conferma a Konin che senza dire una parola conferma; Eno è il sesto patriarca, ha lasciato il monastero per continuare ad insegnare Zen.
Incomincia l’inseguimento.
Si può essere gelosi. Se solo pensiamo che qualcuno ha raggiunto un qualcosa che avremmo voluto avere noi, subito può affiorare un senso di gelosia, forse anche di rabbia ed odio, può succedere. Penso a me bambino, a quelle volte in cui avrei voluto avere l’attenzione che avevano gli altri bambini. Penso a quante volte ho sentito un senso di gelosia quando ho iniziato a studiare Zen io stesso. Vedevo, o percepivo altri studenti molto più “avanti” di quanto lo fossi io, su questo sentiero. Tante volte avrei voluto avere tutto e subito, essere illuminato e potermene vantare. Questi sono né più e né meno quelle formazioni mentali che possono sorgere in ognuno di noi quando percepiamo le cose in una certa maniera. Tutto ciò non è né bene, né male, è ciò che è. Vediamo il perché seguendo Myo nella sua corsa per riacciuffare Eno.
La corsa durò svariati giorni. Eno aveva dalla sua il vantaggio di essere partito molte ore prima. Myo aveva dalla sua l’esperienza di uno che aveva fatto il soldato, sapeva come muoversi nel bosco e sapeva come farlo rapidamente. Raggiunse quindi Eno in una parte del bosco dove il sole raramente penetrava.
Una rabbia cruda ora attraversava Myo, ma anche un’adrenalina che viene dalla soddisfazione di aver raggiunto Eno; finalmente avrebbe fatto giustizia, avrebbe soddisfatto quel convincimento che per giorni lo spinse nel bosco in quella corsa forsennata. Come spesso succede a tutti noi, la mente può avere completo controllo delle nostre azioni. Si può venire offuscati da una nuvola di idee, pensieri, concetti, filosofie che coprono totalmente la realtà delle cose e non ci permette di vedere chiaramente e direttamente le cose così come sono. Si può in un certo senso paragonare l’effetto che i nostri pensieri hanno su di noi come quello che una droga o l’alcol può avere, offusca, ci eccita, ci confonde, distrae. In altre parole, la realtà diventa un qualcosa di molto vago, quasi troppo lontano per essere in qualche modo anche intravvisto.
Quante volte la mia unica realtà è quella che mi scorre in testa? Quante volte prendo per assolute certezze tutti quei cumuli di idee che affollano il mio spazio di coscienza? La forza e l’attrazione che ha la mente è fortissima, non ha eguali. Può portare le persone a comportarsi in maniera poco intelligente, egoistica, animale. Spesso non sappiamo dissociare un semplice pensiero con la vera realtà delle cose in fronte a noi. Possiamo credere vivamente che quel pensiero siamo noi e, Myo non era né meglio né peggio. Pensava che tutto quello che gli scorreva per la testa era esattamente lui. Aveva idee precise su come dovevano essere le cose e, in nome della “giustizia”, quello che doveva fare era inseguire, raggiungere e insegnare Eno una lezione.
Che peccato quando le cose sono così ed agiamo completamente accecati da quella quantità di pensieri ed idee che affollano la nostra testa. Finiamo spesso per farci del male e farne ad altri.
Myo guardò Eno nell’occhi e li trovo vuoti; in un certo sense ne rimase scosso. Non ci trovò agitazione, non ci trovò stress e si mise ad urlare qualcosa che forse non voleva nemmeno dire. Eno lo stava a guardare sempre dal centro dei suoi occhi completamente vuoti, c’era amore in quegl’occhi ma Myo non lo vide.
Penso a tutte quelle volte che non mi fermo a guardare le persone negl’occhi quando mi parlano, come se avessi paura di trovarci qualcosa di doloroso. Forse Myo aveva la stessa paura, sentiva che quegl’occhi potevano mostrargli qualcosa di doloroso. Forse in qualche modo intuiva che quegl’occhi avrebbero riflesso il tormento che si portava dentro. Per quel motivo li evitò.
Eno osservava soltanto e coscientemente appoggiò la tunica e la ciotola ricevute giorni prima da Konin su di una roccia. Senza fretta disse a Myo che se era venuto per la tunica e per la ciotola, poteva benissimo prenderle. Dopotutto quelli erano solo dei simboli, degli oggetti che di per sé non contavano nulla. Eno sapeva che quello che Myo veramente desiderava non poteva semplicemente essere raccolto e portato via. Myo s’avvicinò ancora un passo e guardò quegli oggetti come se non sapesse veramente cosa fossero, le ginocchia gli cedettero in un tremolio. Anche Eno fece un passo avanti, verso Myo. Il suo fu un passo d’amore, di compassione nei confronti di un essere umano che soffriva. Gli disse, senza esitare e con un tono di voce né troppo alto e né troppo basso, “se sei venuto per la tunica e per la ciotola, prendili e portali via, sei libero di farlo”. Myo tutto di un tratto diventò titubante, quasi schiacciato da una responsabilità che non si sentiva pronto a prendere. Ma ora non poteva più tirarsi indietro, il suo ego da soldato non glielo permetteva. Afferrò la tunica e la ciotola ma tutto d’un tratto si vide dentro e quello che vide non gli piacque; si agitò ancora di più. Myo cercò invano di sollevare quella tunica dalla roccia ma le forze gli vennero meno. Quell’oggetto tanto leggero improvvisamente aveva un peso enorme. Si guardò un poco attorno e poi, senza volerlo, si guardò un’altra volta dentro e lì vide il Myo bambino, insicuro, che cercava di farsi strada nel mondo degl’adulti. Per un attimo ne provò tanto amore e volle in un qualche modo abbracciarlo e dirgli che andava tutto bene.
Eno lesse quel momento perfettamente, come se all’improvviso una luce gli si accese dentro, lo voleva aiutare. Myo colse quell’accenno e disse, “non sono venuto per la tunica e la ciotola, sono venuto per la verità”. In realtà lo supplicava di dire qualcosa che aiutasse il suo risveglio, che “provocasse” un’intuizione, una qualche forma di realizzazione. Quanti di noi vogliono risvegliarsi un pochetto, realizzare qualcosa che ci possa aiutare a navigare più saggiamente le nostre vite? Questo risveglio non ha la stessa forma del risveglio mattutino, quando si poggia il piede a terra e comincia una nuova giornata. Questo è forse più un risveglio che succede in pancia piuttosto che nella testa.
“Riesci a vedere in quale prigione mentale ti sei ficcato?” sembrò chiedere Eno a Myo senza dire una parola.
Come possiamo liberarci da queste catene immaginarie che sembrano tanto reali e sembrano tenerci incatenati tanto fortemente? Ogni pensiero che ci passa per la testa è una potenziale prigione, è un qualcosa che ruba la nostra libertà. Quando la nostra attenzione viene rapita da ciò che ci scorre dentro la testa, siamo in prigione, abbiamo perso la nostra libertà.
Eno tornò a fissare Myo negl’occhi e stavolta Myo sembrava incapace di guardare altrove. “Prima di pensare bene o male, qual’è la faccia originale di Myo, ancora prima che i suoi genitori nascessero?” A Myo, per un’istante, non gli passarono pensieri per la testa. Per un istante fu come se i suoi confini cadessero. Si guardò attorno solo per un attimo ma non riconobbe niente, come se vedesse tutto per la prima volta. Guardò Eno fisso negl’occhi e stavolta quello che vide lo riconobbe immediatamente. Passarono dei secondi interminabili prima che Myo finalmente facesse un altro passo in avanti, verso Eno. Poi lo abbracciò senza dire niente. E dentro quell’abbraccio scomparvero entrambi, inghiottiti da questo momento senza tempo.
Un raggio di sole penetrò nella fitta foresta.
Che cosa realizzò Myo con la domanda che gli pose Eno? Non lo sappiamo, solo Myo può rispondere. Ad ogni modo, possiamo provare anche noi a porci la stessa domanda, “prima di pensare bene o male, qual’è la nostra faccia originale, ancora prima che i nostri genitori nascessero?” Chi o cosa siamo noi, veramente?
…… alle volte è come se aspettassi che qualcuno o qualcosa mi venga a togliere da questo momento di vita. Così come lo sto vivendo. So che questo non è possibile. Neanche se dovesse arrivare quel qualcuno o qualcosa a togliermi da questo momento, mi ritroverei comunque sempre ancora qui, in questo momento di vita, così, come lo sto vivendo.
