Non pensare né al bene né al male

Questo è il mio primo Dharma talk, che ho tenuto prima della cerimonia Hossen al dojo di Camberwell, il 12 giugno 2022.

Il Sesto Patriarca fu inseguito dal monaco Myõ fino al monte Taiyu.

Il patriarca, vedendo Myõ arrivare, posò la veste e la ciotola su una roccia e disse: “Questa veste rappresenta la fede; non dovrebbe essere motivo di lotta. Se vuoi portarla via, prendila ora.”

Myõ cercò di spostarla, ma era pesante come una montagna e non si muoveva. Vacillando e tremando, esclamò: “Sono venuto per il Dharma, non per la veste. Ti prego, dammi la tua istruzione.”

Il patriarca disse: “Non pensare né al bene né al male. In questo stesso momento, qual è il sé originale del monaco Myõ?”

A queste parole, Myõ fu immediatamente illuminato…

Nel Mumonkan, raccolta di koan, questo è il caso 23, Non pensare né al bene né al male.

Due persone stanno correndo nei boschi, in montagna. Da appassionato di corsa e montagna, questo koan mi ha ispirato a usarlo per questo discorso. Naturalmente, questa è la ragione più superficiale, perché ci sono motivazioni più profonde che illustrerò. Perché dunque la storia del sesto patriarca Eno e di Myõ? Chi sono e perché stanno correndo?

Eno era un taglialegna analfabeta del Sud della Cina. Un giorno sentì un monaco recitare un passo del Sutra del Diamante: “Senza attaccarti a nulla, lascia lavorare la mente.” All’istante, Eno comprese il significato del verso e provò un profondo risveglio. Eno sperimentò la natura originaria della mente. Quando la mente non si attacca a ogni pensiero che sorge, può lavorare efficacemente, aiutandoci a funzionare nel mondo. Nessun attaccamento ai concetti, nessun attaccamento alle idee di bene e male, nessun attaccamento al passato o al futuro — e così si mantiene la chiarezza di stare nel momento presente, qui e ora, come il momento richiede davvero. Eno chiese al monaco: “Dove posso approfondire questo sutra?”

Il monaco rispose: “Dal Quinto Patriarca Gunin, che si trova al Nord della Cina.” Eno volle incontrare Gunin e viaggiò verso Nord. “Da dove vieni e cosa speri di ottenere venendo qui?” chiese Gunin vedendo Eno. “Vengo dal Sud e vengo per un solo motivo: diventare un Buddha.” Rispose Eno. “Ma se vieni dal Sud, come puoi diventare un Buddha?” continuò Gunin. In quei tempi il Sud della Cina era considerato arretrato e barbaro dal Nord. Da qui le parole di Gunin. Ma Eno rispose: “Le persone possono venire dal Nord o dal Sud, ma non la loro natura di Buddha. I nostri corpi possono sembrare diversi e separati, ma come può differire la nostra natura di Buddha?” Eno vedeva chiaramente come concetti come nord, sud, arretrato, barbari, ecc., sono costruzioni umane e come in realtà tutti condividiamo la stessa natura. Non esiste un bene o un male fondamentale nell’essere del nord, sud, est o ovest. Eno capì come tutti questi concetti, questo senso di appartenenza a Sud o Nord, ci distraggono facendoci pensare che siamo separati. Ma ciò che è più profondo è la nostra natura più vera e, re, contadini, studiosi, ricchi o poveri, istruiti o analfabeti, tu ed io abbiamo tutti la stessa natura di Buddha.

Nel modo convenzionale in cui ci riferiamo alle cose, condivido la stessa storia con Eno. Io, Riccardo, questo corpo, vengo dal Sud dell’Europa, che si può giudicare a volte arretrato e barbaro rispetto al Nord Europa. Tuttavia, questi concetti sono privi di una natura fissa e indipendente e per questo non possono essere considerati affidabili nel giudicare le persone. Questo è ciò che nel Buddhismo chiamiamo vacuità. Non significa che le cose non esistano, ma che le cose sono vuote di un’entità fissa, dipendono da altre cose, sono un processo continuo. Concetti, idee e pensieri dipendono da altri concetti, idee e pensieri. Sono un processo in continua evoluzione. Quando li trattiamo come fissi e assoluti, creiamo le condizioni per la separazione, che può facilmente portare a conflitti e sofferenze. La nostra natura di Buddha non è un fattore di separazione, ma di unione. Ci fa tutti appartenere alla stessa realtà, lo stesso processo che sperimentiamo momento dopo momento, simultaneamente qui e ora, in questo preciso istante, in questo.

Dopo aver lavorato per un po’ in cucina nel monastero di Gunin, Eno riceve la trasmissione direttamente da Gunin. Gli altri monaci considerano questa decisione sbagliata. Come può una persona analfabeta del Sud, che non è nemmeno monaco, portare la fiamma dello Zen? I monaci vogliono ristabilire ciò che ritengono buono per lo Zen e organizzano una spedizione per riportare indietro Eno. Myõ, un ex soldato, è il capo di questa spedizione. Ed ecco la nostra corsa nei boschi.

Il Buddha, nella Prima Nobile Verità, dice che la vita è sofferenza. Nella Seconda Nobile Verità spiega che ciò è causato dal nostro desiderio che le cose siano diverse da come sono. Questo si vede chiaramente in Myõ. Lui soffre perché desidera che le cose siano diverse. Myõ permette alla sua mente di attaccarsi alle idee di ciò che pensa sia bene o male. Non accetta Eno come Sesto Patriarca, pensa che sia una cattiva scelta e lo insegue, ciecamente, come se fosse guidato da un mostro interiore che vuole solo che le cose vadano come vuole lui.

Quante volte mi sono trovato in questa situazione? Quante volte ho permesso alla mia mente di attaccarsi a idee o pensieri di ciò che consideravo bene o male? Posso garantirti, tante! Quella persona lavora troppo lentamente, è sbagliato, vorrei che facesse più in fretta, il tempo è freddo, è molto male, vorrei essere in Italia, questa salita è ripida, molto molto male, vorrei non essere venuto da questa parte. La lista è infinita! E tu? Ti capita di permettere alla tua mente di attaccarsi a idee di bene o male? Come ti fa sentire?

La grande realizzazione del Buddha è nella Terza Nobile Verità: possiamo porre fine alla sofferenza. Smettere di voler che le cose siano diverse, smettere di seguire desideri e brame, smettere di aggrapparci alle idee di bene o male, permettere che ci sia spazio attorno a questi elementi quando sorgono nella mente, lasciarli sorgere e passare e la sofferenza non si manifesterà. Questo è ciò che questo koan ha acceso in me, vedere con chiarezza quando mi aggrappo alle idee di bene o male; quando agisco ciecamente in accordo a questi pensieri. Quando questo aggrapparsi si ferma, emerge la realtà, incontaminata. Con ciò, diventa più chiaro anche un modo diverso di rispondere al momento presente.

Ecco l’epilogo di questo koan.

Eno invita Myõ a essere consapevole di ciò che sta succedendo nella sua mente in questo preciso momento. “Non pensare né al bene né al male. Qual è il sé originale di Myõ?” Questo deve avergli mostrato la natura originaria della sua mente, oltre i pensieri che vi passavano. Myõ deve aver notato come si stava aggrappando alle sue idee di bene o male.

Questo modo apparentemente naturale di relazionarsi ai pensieri risuona molto in me. Posso avere pensieri che i giorni di sole sono buoni e quelli di pioggia cattivi, posso alimentare questi pensieri, aggrapparmi a loro e aggiungere storie, così facilmente. “Niente sole, niente bici, bloccato dentro, noia, ingiustizia, vorrei essere altrove.” Allo stesso modo, Myõ intratteneva i suoi pensieri su Eno e la sua recente trasmissione, “questo è male, ingiusto, porterà disastri.” Myõ non è consapevole di cosa stiano facendo quei pensieri su di lui. Ma ora Eno cattura l’attenzione di Myõ. Ora, non pensare né al bene né al male, cosa succede a Myõ? Scompare con quei pensieri? Oppure esiste ancora? Dov’è il suo sé originale? Dipende da questi pensieri di bene o male o è al di là di essi?

Myõ fu immediatamente illuminato e possiamo realizzare ciò che Myõ ha realizzato, qui e ora. Che cosa resta di questo momento quando lasciamo andare quelle idee su come questo momento dovrebbe o non dovrebbe essere? Oltre quei pensieri che possono sorgere in te su questo discorso, su queste parole che hai appena ascoltato, sono buoni, sono cattivi? Fermati un attimo, cosa resta?